domenica 17 marzo 2013


Light & Building  2012

TRADIZIONE VERSUS SOLID STATE LIGHTING?

Alberto Pasetti (pubblicato su LUCE n°3/2012)

Light+Building è la più grande fiera mondiale dedicata all’efficienza energetica. Con una percentuale del 40% gli edifici sono i più grandi consumatori di energia, altrettanto importante è il loro ruolo nelle smart grid, vale a dire, per la fornitura decentrata di energia. Questo eccellente risultato dimostra quanto forte sia la domanda mondiale di sistemi d’illuminazione e soluzioni tecnologiche per l’edilizia che salvaguardino le risorse – e che Light+Building costituisce l’appuntamento numero uno per industria e decision maker.
In molti colloqui durante i giorni della fiera abbiamo avuto la conferma, di riflesso, che ancora una volta la manifestazione ha superato l’elevate aspettative del settore”, dichiara Wolfgang Marzin, presidente del Consiglio Direttivo di Messe Frankfurt.”



L’estratto del comunicato stampa fornito dall’organizzazione fieristica di Francoforte pone al centro degli interessi di quest’edizione 2012 il tema dell’energia e pertanto lo sforzo comune, in continua evoluzione, di un settore molto promettente e decisamente orientato alla crescita nonostante la difficile congiuntura economica di livello internazionale. Infatti, come il nome lo evoca “Light” and “Building” ha riportato un interesse del pubblico di pari importanza tra il settore dell’illuminazione e quello dell’edilizia, nelle statistiche fornite dall’Ente fiera, rafforzando la convinzione che le tecniche e le nuove modalità di costruzione sono strettamente legate da una strategia comune di risparmio e di ottimizzazione delle risorse anche per quanto riguarda l’illuminazione. Progettare la luce e progettare la casa, in senso lato, appartiene ad una visione comune orientata verso i benefici che l’innovazione tecnologica offre oggi, ma soprattutto lascia trasparire il filone di ricerca e sviluppo che attrae l’interesse di un nuovo mercato più consapevole e più esigente rispetto ai decenni passati. Pertanto, va riconosciuta la forza, di un settore dell’industria, che a differenza di altri ambiti produttivi legati ai grandi numeri del consumo, non solo riesce a crescere ma soprattutto trova una sua ragione di sviluppo in una straordinaria convergenza di obiettivi. Da una parte si confermano le politiche di risparmio energetico, dall’altra si materializzano le plusvalenze funzionali offerte dalle tecnologie dell’era elettronica, rendendo possibile la scoperta di nuovi scenari di utilizzo e di sfruttamento dell’energia luminosa. Nell’ampia panoramica costituita dalle aziende orientate al prodotto architetturale e al prodotto decorativo di nuova concezione pervade il senso di una ricerca verso forme nuove che esulano dal semplice exploit virtuoso delle geometrie, ma spesso si conciliano con i nuovi concepts dello spazio stesso, a testimoniare che la riflessione in corso può lambire la dimensione più ampia del progetto in architettura e in alcuni casi fondersi in essa, materializzando gli intuiti che fino ad oggi non avevano ancora trovato gli sbocchi desiderati. Diversamente, le aziende che appartengono al mondo lighting con finalità complementari, quali la fornitura di componenti o semi-componenti affini, si specializzano sempre di più e vantano le competenze in ambiti in cui è sovrana l’impiantistica elettrica ed elettronica, orientata all’automazione digitalizzata e alla robotizzazione sempre più presenti nella nostra vita quotidiana. Aspetti questi, nel settore dell’illuminazione, che non possono prescindere da alcune domande fondamentali, emerse durante le giornate trascorse alla fiera di Francoforte:

Come è cambiato lo scenario internazionale relativo al mondo della luce? Come si colloca il settore di illuminazione all’interno del delicato periodo economico che coinvolge i mercati mondiali? Perché la fiera Light&Building ha avuto un tale successo di presenze?

Le risposte sono in parte ovvie, in parte più complesse e articolate se vengono contemplate all’interno di un ragionamento che esula dalla sfera razionale delle scelte tradizionali di mercato. Se il pensiero si estende alla comprensione di una fenomenologia che non contempla unicamente il valore apparente del prodotto, ma si propaga verso i meccanismi più complessi della comunicazione legati ai valori dell’ integrazione architettonica, delle simbiosi ambientali, delle organizzazioni interconnesse dei segni e di collegamenti funzionali, allora accade che alcuni prodotti appartengano a veri e propri nuovi territori del progetto di illuminazione. In un certo senso è come se il settore dell’illuminazione si fosse improvvisamente trasformato in un qualcos’altro, un mondo in cui la luce pur rimanendo in una posizione centrale assume una varietà di connotazioni che non gli sono proprie sia per tradizioni che per origini. L’elettronica ha portato una vera rivoluzione non solo nel modo di concepire i prodotti ma soprattutto nel modo di fruirne, aprendo nuovi scenari all’uso puntuale o quello più sistemico in ogni ambiente di intrattenimento, di lavoro e di riposo delle generazioni presenti e future. Certo, l’assunzione di questa trasformazione non può prescindere dalla consapevolezza che in parallelo si sta concretizzando il progressivo smantellamento delle storiche sorgenti ad incandescenza e pertanto un processo inesorabile, irreversibile, che per molti comporta la perdita di alcuni valori imprescindibili della scena luminosa. Tuttavia, sembra che le potenzialità anticipate in questi recentissimi anni, culminate nella fiera tedesca di quest’anno, stiano prefigurando spazi molto ampi di manovra progettuale e di conseguenza di apertura a prospettive di impiego e fruizione più suggestive del previsto. Sarà merito della raffinata potenzialità dell’ingegnerizzazione, dell’integrazione con l’architettura richiesta dai progettisti, della ricerca formale e materica dei designers…ma di fatto gli strumenti utilizzati per organizzare e gestire la luce artificiale delle nostre case e delle nostre città stanno cambiando.
 1.Dice Wall, Prolicht GmbH, pad. 3.1 A41.JPG

Cercando di comprendere a quali livelli si stia verificando la trasformazione in atto, possono essere impiegate alcune classificazioni, pur nella piena consapevolezza di non esaurire l’ampia panoramica esistente, per distinguere archetipi simbolo di prodotti e rispettive tecnologie di appartenenza. Questa modalità descrittiva è meno consona all’idea di un racconto o di un percorso, all’interno dei principali padiglioni dedicati alle aziende innovatrici. Si tratta piuttosto di un estratto di lettura, come avviene nello scorrere analiticamente un quotidiano, pratica che non permette di approfondire tutti gli articoli ma tende ad inquadrare gli avvenimenti di rilievo, aiutando a costruire un’idea generale dello stato presente. Infatti, nella “notizia” in cui è diffusa la consapevolezza di un impiego massiccio di LED e OLED, è legittimo chiedersi quali produttori impieghino i LED con finalità di semplice relamping o quali (e quanti) altri pongano con priorità la tematica di una ricerca progettuale di nuovi concepts, sfruttando l’innovazione?
2.Synapse, Francisco Gomez Paz, LUCEPLAN s.p.a pad. 3.0 A91.JPG

Effetti tra innovazione e tradizione

Nel vastissimo panorama di produttori si possono distinguere coloro che si sono orientati allo sviluppo delle idee, delle forme e dei materiali a differenza di altri, concentrati nell’assolvere il primo “compito” della direttiva europea sul risparmio energetico. In altri casi si possono rilevare dei compromessi interessanti come l’apparecchio Dice Wall della Prolicht in grado di ospitare alternativamente sorgenti artificiali a scarica o a LED, prescindendo dalla pura finalità tecnologica per rivelare una caratteristica intrinseca della proiezione geometrica della luce. In questo caso, l’eloquente paradigma capace di cristallizzare la forma attraverso la sua auto rappresentazione, apparentemente tridimensionale, prende origine dal semplicissimo gioco di messa in opera sul piano bidimensionale. Altrettanto semplice nel risultato visivo, ma più complesso dal punto di vista concettuale, risulta Synapse, prodotto dalla Luce Plan e disegnato da Francisco Gomez Paz. L’idea che un modulo singolo, aggregabile e componibile, possa comporre reti di luce all’interno dello spazio tridimensionale o arricchire e movimentare piani orizzontali e verticali, entra nello spirito della modulazione plastica delle forme contenenti piccole sorgenti a LED. Analogamente al progetto precedente il principio di scelta della sorgente non è determinante per la qualificazione dell’effetto luminoso percepito ma assume una valenza di sostenibilità che ben va conformandosi alle richieste del mercato. Tuttavia, è possibile tracciare un filo conduttore con tutti i nuovi percorsi progettuali in cui la fonte luminosa, in particolare a LED, non è esposta direttamente all’occhio. Questa tendenza, più sostenuta rispetto al passato, pone il quesito su quali materiali diffusori o riflettenti scegliere per  fonti puntiformi o diffusa ad elevata luminanza?

3.TRACE, incasso a strip LED, Norlight, pad 3.0 B41.JPG

Alcuni tra questi constano di materiali sintetici e compositi definiti da svariate proprietà trasmittenti. In altri casi si possono distinguere numerosi esempi di modellazione vera e propria delle superfici murarie attraverso interventi sottrattivi a favore di nicchie, tagli, aperture curvilinee in grado di posizionare l’origine della luce remota, in una completa integrazione architettonica. Anche in questa famiglia di soluzioni e di prodotti l’aspetto tecnologico non è preponderante ma di sicuro aiuta molto sotto il profilo della funzionalità e della manutenzione. Agli esempi delle fenditure di Flos e Viabizzuno, di qualche anno fa, sembrano avere fatto eco numerosissime realtà produttrici del settore, rispondendo con ogni probabilità alle richieste man mano più pressanti degli interior designers e degli architetti in genere. Tuttavia, come non ricordare le anticipazioni spazio-percettive di Turrell in architetture di tagli e di proiezioni chirurgiche cromatiche, realizzate per il pieno godimento percettivo? Un estratto simbolico, appunto, è percepibile in TRACE della Norlight nel suo gioco di avvicendamento verticale di linee parallele, disuguali tra loro, che riempiono il campo retinico in un’alternanza di gioco a tutta parete. In questo caso la luce diventa protagonista dello spazio, pur mantenendo una completa discrezione sull’origine dei componenti funzionali che rimangono celati in doppie pareti o in appositi cavedi. Non dissimile da questo principio progettuale, ma diversamente orientato alla scenografia dello stand espositivo, si colloca l’esempio di una azienda quale Martini, attenta alla configurazione dei giochi tridimensionali di piani verticali e soffitti per costruire la scena luminosa. 

4. Luminanze cromatiche e articolazioni plastico-figurative per allestimento pareti, Martini S.p.a. pad. 3.1 E71.JPG

L’articolazione architettonica, mescolata alla regia luminosa dinamica, costituisce una delle nuove forme espressive  del settore dell’illuminazione impiegando una selezione di cromatismi con massima saturazione ad evocare le ampie possibilità di linguaggio delle tecnologie DALI o DMX. In questo caso l’osservatore è pienamente immerso in un’atmosfera in cui il colore stesso assume il significato di una suggestione che si materializza attraverso la percezione visiva. Il riferimento inconscio rimane sempre e comunque legato all’idea che la luce naturale possa trasparire dalle fenditure dell’apparato architettonico dall’esterno verso l’interno. In un certo senso è come se la luce del sole, in circostanze estreme di angolazione, riuscisse a permeare dalle pareti e dai tagli per insinuarsi nell’articolazione dello spazio interno modulandolo nel tempo. La stessa modulabilità di tonalità di bianco (tunable white) presentata in fiera dai leader dell’illuminazione architetturale, utilizzata prevalentemente per la qualificazione cromatica puntuale delle superfici di particolare interesse (nel campo artistico o merceologico), trae origini dalla variabilità in natura della temperatura di colore della volta celeste e del sole. Trattasi, per cosi dire, di una tra le tante emulazioni creata nella sfera dell’innovazione artificiale, volta ad inseguire, non senza qualche difficoltà, la straordinaria ricchezza e perfezione delle infinite sfumature presenti ogni giorno nell’ambiente naturale.



 5.Vivo Tunable Food (2700-6500 K), proiettore, Zumtobel Lighting GmbH, pad 2.0 B30-B31


6.Installazione tipo per retail, Philips GmbH, pad. 5.1 B70


 10. Nebula, Ross Lovegrove, Artemide S.p.A, pad. 3.1 E51


 11. Prototipo a LED, Ribag Licht AG. pad. 3.1 C61

 12. OLED Orbeos, Osram AG, studio BFM di Monaco, pad. 2.0 B50


 8. Aurista, TRILUX GmbH & Co. KG, pad. 3.0 D11


 7. LED 16 e 64 PXL Board, Traxon Technologies Europe Gmbh, pad. 2.0 B10

9. Lun up, iGuzzini illuminazione S.p.A. pad. 3.1 E31


Dalla luce al visual lighting

Di tutt’altro genere emergono le caratteristiche che contraddistinguono le forme di illuminazione legate alla sperimentazione tecnica dei LED in un settore di confine con la comunicazione multimediale. Apparecchi costituiti da matrici elementari capaci di formare superfici con basse o medie risoluzioni (in fase di crescita nel settore lighting) nei colori bianco e RGB. Si tratta di pannelli modulari assemblabili a LED che possono accogliere svariate tipologie di materiali diffusori o addirittura di lastre di vetro trasparenti, accoppiate, in cui sono inseriti piccolissimi diodi con traccia di alimentazione invisibile. Infatti, il principio che accomuna le diversa realtà produttrici nel settore si focalizza sull’idea bidimensionale della superficie emittente con risoluzione più o meno elevata, in grado di trasmettere luce sottoforma di segni, silhouettes, animazioni in un’ampia gamma cromatica. Le principali differenziazioni sono da attribuirsi, invece, alle dimensioni dei moduli unitari e ai materiali diffusori che determinano effetti ottici in funzione del grado di opalescenza, satinatura o di trama in caso di tessuti. Non è possibile confondere o mescolare un video-wall per la comunicazione con un LED wall indirizzato al settore lighting perché il suo principio fondamentale risiede nell’utilizzare le luminanze di superfici approssimative, non definite. Diversamente un’immagine di cui si voglia approfondire il significato richiede una risoluzione più elevata per una maggiore acuità visiva. I Pixel board della Traxon o i Lighting BV in tessuto Kvadrat della Philips, con basse e medie risoluzioni appunto, sono esemplificativi delle loro potenzialità espressive e delle variegate modalità di assemblaggio e di installazione, offerte ai tecnici del settore. Trattandosi, come anticipato precedentemente, di una tecnologia ibrida a cavallo tra due settori di riferimento (lighting e multimedialità) non è sorprendente che questa tipologia di prodotto innovativa non abbia ancora trovato una sua precisa collocazione nella progettualità di ambienti a valenza prevalentemente domestica e tradizionale, ad eccezione dei moduli rivestiti in tessuto.

Solid state lighting, un nuovo concept

Infine, le tecnologie di elevata innovazione, in ambito lighting, trovano la loro applicazione nelle famiglie di prodotto sperimentali legate ai LED e quelle costituite dagli OLED. Nel primo gruppo si collocano progetti quali Aurista di Trilux in cui è presente la dimensione del rapporto tra forma, tecnologia e finalità applicativa. Infatti, una delle principali tematiche negli apparecchi ad incasso da soffitto riguarda il livello di abbagliamento che in questo caso è risolto attraverso l’effetto piramidale dell’ottica rovesciata, a favore del comfort luminoso. La forma stessa del prodotto è lasciata libera al progettista consentendo una configurazione di tipo a rete collegata tra i vari punti luminosi del sistema. Percorsi di luce si articolano per sottolineare l’interdipendenza dell’organismo luminoso tra le sue parti disegnando a soffitto o a parete composizioni geometriche libere. In Lun up di iGuzzini, la liberta compositiva si limita all’uso di una figura a quarto di cerchio in grado di articolarsi iterandosi in piani orizzontali o verticali, componendo percorsi visivi quali guide di luce in piazze e giardini. All’estremo opposto del principio di componibilità si pongono progetti quali Nebula di Artemide in cui il binomio di tecnologia a LED e di impronta plastica scultorea, trova la sua più pertinente combinazione d’effetto percettivo grazie alla miniaturizzazione. Nel concept di Ross Lovegrove è presente la consapevolezza che la rappresentazione di un bassorilievo dalla composizione misto fluida e organica può sussistere solo attraverso un effetto di pura radenza. In questo caso l’impiego di sorgenti a LED occultate alla vista, il cui flusso viene diretto e controllato verso il baricentro dell’opera, rappresenta una tra le significative opportunità che tale tecnologia può offrire nella nuova progettazione di oggetti luminosi. Non meno sperimentale l’apparecchio a sospensione di Ribag, derivato dal modulo “Spinaled”in cui gli steli strutturali coincidono con gli elementi diffusori stessi. Tale prototipo, con forma a diamante, possiede un sistema di controllo e regia in DMX capace di produrre l’effetto di illuminazione statica convenzionale o di pulsare con fluttuazioni luminose quasi a ricordare gli effetti intermittenti bioluminescenti di alcune creature marine. Trattandosi, quest’ultima, di una configurazione dotata di elevata pregnanza scultorea sembra giusto concludere citando due progetti OLED, fuori scala, a cura di Osram e Philips. Il primo con moduli Orbeos per la realizzazione di un’enorme sfera con alternanza ritmica di 1000 dischi disposti sfericamente che pulsano dinamicamente in un gioco virtuoso di apparenti sincronie. Nel secondo, una composizione a soffitto costituita da 867 piccoli moduli triangolari composti geometricamente in grandi figure triangolari caratterizzate dalla doppia valenza della superficie: alternativamente un OLED blu in trasformazione verso la luce bianca o verso una superficie specchiante, seguendo un ritmo e un’intensità programmati accompagnati da un armonioso movimento di sospensione fluttuante nello spazio. Il significato spettacolare di queste macchine luminose scultoree lascia ben presagire che anche nell’ambito OLED i protagonisti della ricerca e dello sviluppo anticipino l’imminenza di nuovi ambiti di utilizzo e soprattutto l’impulso di nuove spinte progettuali, giovani e stimolanti.  

martedì 26 febbraio 2013


FUTURI DESIGNERS SENZA LUCE! 
aggiornato al 17.03.2013

LAUREA MAGISTRALE IUAV, CORSO DI LIGHTING DESIGN ABOLITO...


In occasione della recente trasformazione dell’assetto Universitario italiano anche lo storico  e internazionalmente riconosciuto Istituto Universitario di Architettura di Venezia (IUAV) ha subito pesanti tagli e alleggerimenti sotto il profilo dell’offerta didattica.  Tra questi si colloca un insegnamento, da me voluto e tenuto numerosi anni presso l’ex Facoltà di Design e Arti, strutturato sulla materia Illuminotecnica e caratterizzato dalla preparazione non solo teorica ma soprattutto professionale, affrontando le importanti tematiche che il settore specifico pone sia sotto il profilo industriale (design del prodotto) sia sotto l’aspetto progettuale in numerosi campi d’applicazione del Lighting Design. Per anni ho richiesto la possibilità di strutturare il relativo modulo d’insegnamento con più risorse, in maniera tale da integrare quello che veniva definito accademicamente alla pari di un modulo teorico-scientifico, con una sperimentazione tecnico-progettuale da parte degli studenti della Laurea specialistica su materiali, prodotti e tecnologie del settore. Tale circostanza non ha trovato lo sbocco auspicato e purtroppo, con il nuovo anno, sembra aver perso l’appoggio di chi originariamente credeva nell’importanza di una disciplina che oggi, nel nostro Paese, si sta rivelando un potenziale filone di sviluppo per molti neo-laureati e per molte aziende. I giovani studenti rappresentano una risorsa inestimabile per la costruzione e il sostentamento del futuro della nostra economia e ritengo sia molto importante segnalare all’Università le ricadute che la privazione di una materia, probabilmente ancora sottostimata, rischiano di provocare al nostro territorio in un settore manifatturiero e professionale  d’eccellenza del nostro Made in Italy,  come quello della luce.

Per questi motivi avrei piacere che ti esprimessi, sul tema specifico e confermassi o meno il desiderio che fosse riattivata, presso lo IUAV, la materia d’insegnamento relativa al Lighting Design in una direzione di sviluppo programmatico e di crescita strategica a beneficio dei nuovi studenti. La tua voce, unitamente a quella dei tuoi colleghi, è molto importante e sarà comunicata per sensibilizzare i referenti in sede accademica e nel settore industriale affine.

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domenica 22 aprile 2012


LA LUCE E I SUOI PERCORSI PASSIONALI

www.youtube.com/watch?v=PzFKjShgfgg


La luce abbraccia il nostro quotidiano e da secoli anche il nostro vivere notturno. Non è un caso che si parli sempre più frequentemente di come stia evolvendo il nostro panorama della luce come artificio di innovazione, di intelligenza e di maggior comune consapevolezza verso i luoghi che abitiamo, e che solchiamo giorno dopo giorno. La luce istintiva appartiene ad una dimensione estranea ai vincoli e alle logiche di progetto, è espressione di una forma di energia libera e non condizionata, probabilmente perché fluisce senza limiti in tutti i campi della materia, ma scorre anche senza freni nella vastità dell’impalpabile etere seguendo le leggi dell’universo.

 La comprensione del livello espressivo intermedio in cui ci troviamo è ben rappresentata dalla natura dei due culmini estremi opposti: il meraviglioso mondo delle particelle luminescenti animate negli abissi dei nostri oceani e diversamente l’irraggiungibile estensione delle costellazioni dei nostri cieli. Forme viventi in magici movimenti luminosi nascoste a centinaia di metri di profondità, quasi a rappresentare quella parte dell’inconscio di cui solo una realtà infinitesimale può essere esplorata e conosciuta in un dato momento del presente. All’estremo opposto nuvole puntiformi di spie scintillanti estese nell’infinito che potrebbero suggerire l’appartenenza ad una dimensione cosmica famigliare ma solo nell’apparenza, dato che l’universo è in continua inesorabile evoluzione. Tuttavia, un terreno intermedio esiste e permane, nonostante sia anch’esso legato al fenomeno dell’inarrestabile trasformazione, ed è costituito da una uno strato atmosferico in cui abitiamo da millenni e che conosciamo sotto il nome di superficie terrestre. In questa dimensione i fenomeni di luce vengono acquisiti molto frequentemente come espressione di manifestazioni scontate e ripetitive, senza significative distinzioni tra la luce del giorno e la luce della notte: prevale l’istinto di “sopravvivere abitando”, quel istinto che porta inesorabilmente a ricercare le condizioni migliori seguendo un percorso della mente progettata e non del libero istinto naturale. In questo contesto la Pelagia Noctiluca delle profondità marine non potrebbe rispondere del suo progetto luminescente, così raffinato, se non fosse per la sua semplice natura di sopravvivenza, emanazione di uno straordinario processo evolutivo che coinvolge l’arte di segnalare e comunicare con pulsazioni bio-luminescenti. Peraltro, la costellazione boreale dei Gemelli non potrebbe assumersi il merito di aver guidato spedizioni marinare in condizioni difficili di navigazione nei secoli. Le stelle risiedono per legge universale dove sono, come la Noctiluca vive per sua natura nelle sue profondità.

 Il punto fondamentale risiede nel fatto che entrambe, senza saperlo, ci offrono una visione dell’esistenza straordinaria, portandoci ad una riflessione stimolante per la nostra concezione di habitat luminoso. Esistono cromaticità naturali, associate a bassissime luminanze che non seducono solamente la nostra mente ma accedono ai codici più remoti della nostra interpretazione corticale.

 "Bobtale-squid" bioluminescenza marina

 Elettroluminescenza: Oled e LED


Comprendere come l’interpretazione fisiologica delle caratteristiche della scena luminosa crepuscolare stimoli la nostra pulsione emotiva più istintiva e remota, costituisce uno dei temi di ricerca più affascinanti in materia progettuale. Infatti, l’idea che il terreno fertile di transizione si collochi tra due estremi della visione, le tenebre e lo spazio cosmico, offre lo spunto per accedere ad una dimensione del progetto, ovvero di una visione della realtà notturna, che tenga conto sia dell’ignoto nascosto come del visibile ostentato. Questi due aspetti trovano riscontro in un filone nascente, una nuova interpretazione dell’ambiente circostante, seguendo gli effetti di luminescenze eredi delle bioluminescenze in grado di costruire la scena visiva, ma soprattutto di racchiudere in essa i significati del rapporto tra natura e uomo.

 Lucciola: bioluminescenza in natura

 Weston supermare, arch. Tosetti: fosforescenza integratata in resina


 Gli elementi del nostro habitat primordiale possono dunque rientrare in scena secondo nuove “gerarchie” suggerite dal principio della sostenibilità visiva. In un certo senso è come se l’uomo entrasse a pieno titolo alla riscoperta di un eco-sistema nello spazio antropizzato, attraverso un nuovo itinerario dei sensi, materializzato da tracce delicatissime e soffuse di segni luminosi, perseguendo armonie universali e perenni.

giovedì 16 dicembre 2010

Luce quale filo conduttore in Biennale 2010

testi e foto alberto pasetti

 1. García-Abril & Ensamble Studio, Spagna, Corderie

 Come esordisce Kazuyo Sejima “La 12esima mostra internazionale di Architettura, People meet in Architecture è incentrata sull’idea di trovare l’architettura, di riconsiderare la potenzialità della stessa nella società contemporanea”. Non solo, ma Sejima ricorda una filosofia per la Biennale che ha fatto propria: “un concetto provocatorio”. Infatti, dato che è impossibile portare in mostra gli edifici veri e propri, i quali devono essere dunque sostituiti da modelli, disegni e altri oggetti, è compito della nostra professione di architetti utilizzare lo spazio come un mezzo con cui formulare il nostro pensiero: “Ogni partecipante ottiene un suo spazio e agisce come curatore di se stesso”. Egli presenta il proprio tipo di comprensione del tema e di risposta allo stesso, rivelando la propria posizione attraverso la mediazione del luogo. In questa visione dell’esposizione dell’Architettura, le persone, i visitatori, si mescolano e si relazionano anche involontariamente nelle evocazioni spaziali di allestimenti a volte puramente concettuali, a volte astratti e in alcuni casi predisposti per interazioni sensoriali.
Quale rapporto è stabilito tra il progetto tangibile di comunicazione di queste forme di architettura e la luce? Quale luce è associata a queste visioni che pongono questioni di ordine globale legando la sostenibilità, l’ambiente, le risorse energetiche all’interno dei complessi meccanismi relazionali, culturali e biologici dell’uomo?
La risposta è presente in un sottile filo conduttore, percorribile padiglione dopo padiglione, e deve essere assimilata setacciando la qualità e la molteplicità delle proposte, all’interno di un tutt’uno, di una percezione unitaria che finisce per rendersi esplicita solo dopo aver completato la visita e riorganizzato le informazioni visive, lasciandole sedimentare qualche giorno.


 2. The buildingwhichnever-dies, R & Sie, Francia, Corderie.

 3. Cloudscapes, Transsolar & Tetsuo Kondo Architects, Germania, Corderie.

Sequenze nelle Corderie
La prima impressione, più immediata, lascerebbe pensare che non vi sia un progetto chiaro sulla luce strutturato all’origine: è come se tra il significato della luce e la modalità di presentare i contenuti dei singoli padiglioni non vi fosse un legame di complementarietà ma di semplice consequenzialità. Di fatto, in alcuni casi, questo assunto corrisponde a verità, ma solo in situazioni molto limitate, dove appare ovvio l’intervento casuale per risolvere l’illuminazione in maniera funzionale. Diversamente, dai Giardini alle Corderie, si avvicendano progetti di comunicazione, molto diversi tra loro, ma decisamente allineati sul principio di una successione di racconti, siano questi supportati da tecnologie multimediali o da artigianali costruzioni ottenute dall’impiego dei materiali tra i più disparati. L’evocazione simbolica a volte trasgressiva, a volte provocatoria, che i curatori hanno messo in scena sembra comunque attingere allo stesso scopo, sempre rivolto al desiderio di catturare l’attenzione del visitatore rendendolo partecipe dello spazio che attraversa, ma soprattutto emozionandolo! In questo caso è innegabile che la capacità di stimolare emozioni in uno spazio non possa prescindere da una consapevole regia della luce, anche nel caso in cui si tratti di una casuale e fortuita interazione della luce naturale. Nella biennale di Venezia questi eventi non sono rari e rendono ancora più ricca l’esperienza di scoperta e di contemplazione. Infatti, il rapporto che le strutture ospitanti ai giardini stabiliscono con la luce naturale è molto particolare, trattandosi di architetture inserite nel contesto verde alberato in prossimità del bacino lagunare. Diversamente le Corderie, all’Arsenale, rappresentano un affascinante contenitore seriale, in cui le condizioni di rapporto con la luce esterna rimangono pressoché invariate, se non volutamente modificate dai singoli curatori. Infatti, in “Cloudscapes” degli architetti Transsolar & Tetsuo Kondo (Germania) lo spazio è significativamente capovolto, smaterializzato per la presenza di una scenografica nebbia. Il curatore ha espressamente voluto che l’acqua fosse protagonista della scena, una sorta di gigantesca nuvola all’interno della quale compiere un percorso ascensionale lungo una rampa metallica. Il significato simbolico ed evocativo dell’acqua “quale fonte di vita, dagli oceani alla terra…attraverso nubi in stabili equilibri in cui si perpetuano naturalmente” è reso esplicito dalle lame di luce naturale  che fendono lo spazio obliquamente dalle finestre laterali. In questo caso, la spettacolarità e l’intensità dell’esperienza percettiva è strettamente connessa alla variabilità delle luce naturale. Diversamente, in un’altra sala delle Corderie, “The buildingwhichneverdies” è considerata la rappresentazione di una zona off limits, un’area inaccessibile dove i desideri sono resi possibili, rievocando concettualmente il film Stalker di Tarkovsky. La presenza di una forma fluida, di un’isola materica bianca, algida, interagisce con la presenza dell’uomo attraverso la variabilità ritmica di segnali luminosi, quasi rappresentassero una lenta pulsione del battito vitale, espressione dell’unità e unicità dei desideri nella loro globalità. Parafrasando il titolo della biennale, questa sala è il luogo dei desideri dove l’architettura costituisce precisamente il punto d’incontro (“meeting point”), a tal fine la luce naturale è mantenuta delicatamente soffusa. Tuttavia nel percorso lungo delle Corderie si avvicendano numerose altre sequenze di esperienze percettive che richiamano un utilizzo diverso e personalizzato della luce. Forse è proprio in virtù della serialità dell’architettura ospitante che il ritmo e la diversità, da un’installazione all’altra, acquistano una pregnanza così forte e incisiva agli occhi dell’osservatore dilatando o restringendo lo spazio fisico, enfatizzando la matericità storica dell’antica fabbrica di cordami o  sottolineandone semplicemente l’armonia e la maestosità. In questo senso la performance ironica del gigantesco fuori scala di  Anton Garcia-Abrile & Ensamble studio, costituito da imponenti travi incrociate nello spazio, volutamente si dilata verso l’alto, rendendo partecipi le pre-esistenti capriate strutturali storiche, in un senso di continuità tra l’immaginario e l’esistente. Come anticipato inizialmente, il filo conduttore è sottile ma presente e palpabile. Il lungo percorso delle Corderie non si esaurisce con la coinvolgente pellicola 3D di Win Wenders sull’Università di Losanna, ma richiama ancora la fenomenologia di installazioni integrate che si contrappongono alla natura archeologica delle fabbriche dismesse all’estremità dell’Arsenale, a cura della Reppubblica popolare cinese, in uno scenario di apparizioni oniriche, con uccelli pronti a spiccare il volo.
 4. West kowloon cultural district project. Hong Kong a Venezia

 5. The search for salvation, padiglione Egitto

 6. The ark, padiglione Grecia

 7. Sehnsucht, padiglione Germania

 8. Now and when, padiglione Australia

 9. Padiglione Stati Uniti d’America

10. Voids, Aires Mateus e Associados,  palazzo delle esposizioni
Isole nei Giardini
La presenza orientale riemerge appena fuori dall’ingresso della lunga galleria espositiva dell’Arsenale, riportando i visitatori, solo apparentemente, alle più tradizionali rappresentazioni dell’Architettura contemporanea, attraverso la mostra “Hong Kong a Venezia”. In realtà l’esposizione curata da Juan Du si concentra sul “West kowloon cultural disctrict project” attraverso una suggestiva rappresentazione delle tematiche progettuali emergenti “Each exhibit’s installation is a collaboration between architects and other profession to form cross-disciplinary projects for responsible and sustainible design”. Design sostenibile e responsabile sembrano le chiavi centrali di lettura  per rappresentare l’intero spirito di questa biennale che amplifica il suo vigore e la sua eterogeneità nei singoli padiglioni ai Giardini, probabilmente grazie all’indipendenza fisico-architetturale delle singole sedi espositive. Anche per le sedi nazionali distribuite nel parco è valida la suddivisione tra luoghi esposti alla piena luce naturale, luoghi di compromesso tra natura e artificio e infine spazi completamente dedicati al controllo della luce artificiale per ottimizzare l’effetto visivo e rendere più pregnante la partecipazione del visitatore. Nel primo gruppo ricadono i padiglioni quali Germania, Brasile, Serbia e Austria con installazioni molto distanti l’una dall’altra. Il “luogo d’incontro nell’Architettura” è magnificato in un salotto rosso cardinale, nel padiglione tedesco, dove centinaia di disegni di noti architetti decorano le pareti. Il “Sehnsucht” ricercato dai curatori, “Die Walverwandtschafen Monaco, Zurigo e Boston”, esprime i motivi sfuggenti e immateriali dell’architettura, interpretazione di desideri e aspirazioni. Il salotto è luogo d’incontro, di comunicazione e di scambio, mentre le due sale adiacenti esprimono l’una la molteplicità e la serialità dell’aggregazione mentre l’altra è legata al silenzio dell’unicità. Un quadro bianco su sfondo bianco, in una sala con luce diffusa dall’alto, in realtà, si trasforma in un’opera dinamica live art attraverso la sua lenta mutevolezza cangiante: una macchia si espande, vira cromaticamente, quasi si trattasse di una reazione fotochimica alla luce naturale senza fine. Diversamente, Il padiglione dell’Egitto, alla pari di quello della Grecia e degli Stati Uniti d’America appartengono al secondo gruppo, in cui si mescolano e combinano gli effetti della luce naturale variabile con quelli delle luci d’accento puntuali o diffuse artificiali. L’installazione “tutta oro” diretta da Ahmed Mito, in cui è riposto il significato della “ricerca verso la salvezza”, consta di un percorso circolare all’interno di uno spazio immerso in una luce diffusa molto calda che rievoca la forza espressiva di miti e credenze, attraverso le forme simboliche delle antiche civiltà. La luce naturale, in alcune ore pomeridiane, entra dal portone principale e contribuisce ad aumentare l’effetto scenico dei contrasti attraverso le lamiere dorate. In modo analogo, anche la grande arca del padiglione greco, installata per esprimere il raccoglimento e il principio della sopravvivenza, viene inondata dalla luce del sole, enfatizzando la semplicità e la forza espressiva della sua struttura lignea. L’arca simboleggia metaforicamente il rifugio quale cambiamento verso una vita primordiale e, allo stesso tempo, il viaggio che unisce le popolazioni abitanti in luoghi diversi della terra. All’atavico legno, che ne costituisce la sua forma strutturale, sono associate le essenze delle colture e dei prodotti della natura, riscoperti e impiegati per concretizzare una visione di risanamento dell’agricoltura: “Old seeds for new cultures”, attraverso il racconto curatoriale di Gabi Scardi. L’effetto miscellaneo del legno e delle sementi naturali  riconduce, con una luce di tonalità calda, al significato del primo rifugio antico e contemporaneamente alla dimensione di un futuro possibile. Con il padiglione greco è sorprendente osservare come in questa Biennale sia affiancato il valore espressivo di un “seme”, un prodotto naturale, con la complessità artificiale della città in continua evoluzione. Si tratta di un salto interpretativo talmente grande da risultare un continuum coerente se rapportato alla nostra visione globale tra presente e futuro. Di fatto, nel padiglione degli Stati Uniti d’America, la città e il suo concetto di crescita sono protagonisti. Si tratta di una transizione dall’impiego della luce naturale verso la luce artificiale che a sua volte si trasforma in immagine e quindi in architettura. Al diminuire dell’apporto della luce naturale si consolida l’interpretazione programmata con margini di variabilità ponderati e non casuali. Il modello luminoso è al centro dello spazio e lo spazio si smaterializza perché muta continuamente in un gioco di proiezioni a tutta parete. Le possibilità di combinare le variabili sono pressoché infinite ma diventano parte di una scelta finita e quindi di un linguaggio soggettivo, espressione del pensiero curatoriale. Estremizzando il progetto espositivo, nel controllo dello scenario visivo, non può passare inosservata l’installazione del padiglione Australia curata da Ivan Rijavec “Now and When” basata sull’immersione completa del visitatore nella dimensione 3D dello spazio e dei filmati. L’esposizione si basa sul principio di una lettura critica del presente continente australiano e di una creativa visione del futuro. L’intero padiglione è immerso in un’oscurità quasi totale ad eccezione di un’articolazione di linee arancione fosforescenti attivate da lampade di wood. L’allestimento ricorda le sperimentazioni degli anni ’80 sui primi spazi virtuali concepiti al computer, in questo caso ricostruiti a scala umana. Il visitatore, inizialmente destabilizzato dalla perdita di consueti riferimenti spaziali, raggiunge le due sale di proiezione, separate da una scalinata di collegamento, dove viene dotato di occhiali bi-cromatici per la suggestiva lettura tridimensionale. Un altro ambiente simile per la rigorosa regia illuminotecnica è costituito dal padiglione del Canada. In questo caso Philip Beesley affronta un affascinante, quanto delicato, tema legato alla sostenibilità denominato “Hylozoic Ground”. Si tratta di un’installazione interattiva dove è possibile immergersi in una foresta artificiale dinamica in continuo movimento. La struttura, costituita da un’immaginaria natura simile ad una barriera corallina artificiale, è interamente controllata da microprocessori che determinano il pulsare degli effetti luminosi, oltre al morbido movimento alare delle “foglie” acriliche bianche accompagnato dal profondo respiro che le piante infondono a ritmi intervallati. Sfiorando i terminali delle ramificazioni le piante si animano reagendo lentamente. L’intera installazione è concepita come un organismo sospeso che trasmette la luce secondo il principio delle guide di luce, nonostante i puntamenti non siano focalizzati sui terminali ma diretti obliquamente d’alto. L’ilozoismo rispecchia un antico pensiero romano che riteneva che ogni materia possedesse la vita. “Hylozoic Ground” prefigura una nuova generazione di architettura sensibile, evocando la possibilità futura di una struttura geotessile sospesa in grado di accumulare l’energia di un suolo ibrido dell’ambiente circostante. Si tratterebbe di un’intelligenza artificiale integrata, simile a quella degli esseri viventi, che permetterebbe agli umani di interagire, a beneficio della loro salute fisiologica, grazie alla capacità filtrante delle piante con le quali stabilire degli scambi metabolici. Nel suo insieme il progetto si riconduce al principio di trasformazione dell’energia in natura, dove le forme viventi più arcaiche e più remote, come in profondi ambienti marini, coniugano straordinarie forme espressive quali la bioluminescenza per finalità di comunicazione e di sopravvivenza. L’energia, in una visione quantistica, è espressione di infiniti potenziali riconducibili all’unità e probabilmente il filo conduttore, in questa Biennale, si lega ai grandi interrogativi sulle forme di vita del futuro e le sorti del nostro vivere. Nella ricerca quotidiana di nuove formule, di innovative tecnologie e di nuove filosofie dell’abitare e del convivere nelle città in evoluzione, non vi è alcun
dubbio che la luce, in tutte le sue accezioni, rimane il filo conduttore imprescindibile.

11. Hylozoic Ground, Philip Beesley, padiglione Canada


Kazuyo Sejima, curatrice della 12. Biennale internazionale di Architettura ( sponsorizzata dalla Ditta Foscarini ) è nata in Giappone nella prefettura di Ibaraki, nel 1956. Nel 1987 apre un proprio studio a Tokyo. Nel 1995, insieme a Ryue Nishizawa, fonda SANAA, lo studio di Tokyo che ha firmato alcune tra le più innovative opere di architettura realizzate di recente in tutto il mondo, dal New Museum of Contemporary Art di New York, al 21st Century Museum of Contemporary Art di Kanazawa, premiato nel 2004 con il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia. Il suo ultimo progetto inaugurato nel Marzo 2010 riguarda il Rolex Learning Center presso l’Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna, oggetto del filmato 3D di Win Wenders presentato alle Tese dell’Arsenale.

giovedì 2 dicembre 2010

Come cambia il panorama della progettazione della luce con microtecnologie e controllo digitale

L'era digitale e l'era dell'elettronica è entrata a pieno titolo nel mondo dell'illuminazione. Una rivoluzione tecnologica è in corso. Cambiano gli strumenti di una progettazione più consapevole, più ricca e più variegata aprendo nuovi percorsi e nuove forme di interpretazione nel mondo della luce. Cambia la logica dei prodotti, cambiano le prospettive di durata, le potenzialità per una maggior sostenibilità nel modo di generare fonti luminose e soprattutto cambiano gli attori della scena luminosa, a favore di un'interpretazione più libera e più colta del fruitore, nonché destinatario finale.
La luce è ovunque, la luce è presente anche quando è assente. Nella maggiore consapevolezza dell'importante ruolo che la luce assume nel quotidiano, nei settori specialistici, nel tempo libero come nel lavoro, nel rilassamento della mente o negli impieghi che spaziano dalla sicurezza agli obiettivi culturali, commerciali e ludici si apre una nuova frontiera della comunicazione visiva. La luce esprime un codice di interattività con il nostro stato mentale. Si aprono nuovi orizzonti: sempre più rapidamente il comune utente si pone delle domande, degli interrogativi, su fondamentali temi di maggior comfort e piacevolezza di un ambiente, si pone le domande sul costo relativo di fruizione, oltre che sull'acquisto di una nuova tecnologia.
 Tuttavia, il trapasso tecnologico e storico che stiamo vivendo sposta i confini verso mete molto più ambiziose che coinvolgono la convivenza più consapevole con lo spazio a varie scale: dall'unità primordiale del rifugio, passando per lo spazio abitativo o professionale, attraverso le città, i territori urbani, gli ambiti paesaggistici più ampi e perchè no, anche lo spazio sovra-urbano e territoriale in vista del progressivo contenimento dell'inquinamento luminoso.
La grande industria dell'illuminazione si prepara, i designer si preparano, la comunicazione visiva diventa materia di innovazione pura, giocando con i nostri sensi e stimolando una consapevolezza nuova dell'ambiente e del nostro stesso ruolo di riconoscerci parte attrice di questi cambiamenti, in vista di portare valore aggiunto alla vivibilità del quotidiano e alle prospettive più lungimiranti.
Il mercato è in piena effervescenza proponendo già una mirabolante panoramica di soluzioni, di pre-confezionamenti pronti all'uso! Dalla lampadina o dalle superfici emmittenti a veri e propri sistemi di controllo e gestione della scena luminosa, non manca nulla nell'ampio ventaglio di possibilità, se non per quell'importante e insostituibile capacità di costruire una poetica dell'immagine, dell'ambiente, della materia del costruito o dell'immaterialità , nei nuovi confini che caratterizzano gli spazi che viviamo, che frequentiamo e che diventano, giorno dopo giorno, il nostro patrimonio di ricordi. Istintivamente l'innovazione ci porta beneficio o ci degrada a seconda della richezza o meno del percorso progettuale, dell'intenzionalità e della consapevolezza del valore simbolico dell'armonia contrapposto al puro interesse consumistico.
La luce qualitativa pone queste implicazioni, oltre a numerose altre ancora! Si tratta di un problema più etico o più funzionalista? Non saprei, ma di una cosa sono convinto: illuminazione non solo metaforicamente è parte della nostra quotidianità e può elevare o declassare non solo la percezione degli spazi ma soprattutto la percezione del vissuto, diventando parte integrante della qualità del tempo fruibile, in ogni circostanza. Le occasioni di ripensare la progettualità diventeranno sempre più frequenti, le esigenze e parte dei desideri nel campo della luce diventeranno sempre più rappresentativi di una forma di personalizzazione, rivendicando una rinascita del fruitore protagonista e attore del suo ambiente. Sarà compito del progettista predisporre l'ampia rosa di scelte e formulazioni, proprio in virtù di una sua sapiente conoscenza dell'innovazione nella tecnologia e dell'impiego di materiali nuovi di cui l'illuminazione necessita. Mai come ora, gli strumenti a disposizione sono stati così variegati e promettenti...
http://www.studiopasetti.it/, www.aidiluce.it/doc/LUCE_4-10.pdf